I dati sono per una non profit una fonte di ricchezza inestimabile. Se circa il 90% li raccoglie (anagrafiche dei donatori, misurazioni d’impatto, analitiche dei comportamenti digitali online, etc…), la percentuale di enti che effettivamente spende del tempo per sfruttare a pieno il loro potenziale scende sensibilmente.
La scienza dei dati non è una disciplina nuova nel panorama del non profit, ma la maggior parte delle organizzazioni non ha ancora un team dedicato all’analisi. Ecco alcune buone pratiche che si possono portare all’interno di ogni realtà.
Analisi dei dati
L’approccio con cui si analizza un dato è fondamentale. Non in molti ci fanno caso, ma se l’unico obiettivo che ci poniamo davanti a un dato è quello di osservare e annotare cosa sta succedendo, non stiamo tirando fuori il meglio né da quello che il dato ci pone davanti, né dalla ricerca o dall’attività di analisi che abbiamo effettuato.
Prima ancora di entrare nella fase di raccolta dei dati, è quindi importante ipotizzare un risultato auspicabile, da confutare o smentire attraverso una ricerca specifica. Facciamo un esempio: vogliamo ridurre la dispersione scolastica in un determinato territorio perché, dalla nostra azione, ci siamo resi conto che è un grave problema che incontra il nostro target di riferimento. Per farlo però, non basta la percezione: è necessario analizzare il fenomeno guardando il dato da ogni punto di vista, anche quello che riguarda le risorse. Potrebbe essere che ci rendiamo conto che per ottenere il risultato che desideriamo (ridurre del 10% la dispersione scolastica), sia necessario capire che dobbiamo aumentare del 20% le entrate da raccolta fondi (abbiamo bisogno di più risorse per implementare azioni diverse che convergono nello stesso obiettivo). Questo ci aiuterà a individuare e specificare dove e come concentrare le azioni legate alla sostenibilità dei nostri progetti e delle nostre attività, ma anche la nostra raccolta fondi.
Una realtà che sa analizzare i dati, agli occhi di un partner istituzionale, è una realtà che detiene non solo importanti competenze strategiche e di conoscenza dei fenomeni sociali e organizzativi, ma anche un valido alleato per indirizzare la propria attività filantropica verso supporti che siano concreti e che producano risultati effettivi.
Raccolta dei dati
Quali sono i dati che veramente contano? I dati dell’impatto di un ente sono sicuramente molto rilevanti per i donatori istituzionali. Ma senza entrare nel merito di cosa sia una valutazione di impatto, si può sempre mettere in risalto quali sono i risultati dei progetti, in termini di dati effettivi: quanti sono gli utenti finali, qual è la comunità di riferimento (quali caratteristiche ha, come si comporta), quali sono le risorse interne coinvolte, quale risultato si vuole produrre, quali sono i cambiamenti in termini fattuali che si vogliono generare. I progetti e la missione di ogni organizzazione realizzano sempre diversi risultati, e porsi degli obiettivi in grado di misurarli in maniera oggettiva è un ottimo strumento per creare fiducia e credibilità. Non solo: questi dati forniranno un preciso tornaconto delle azioni degli enti, e potranno aiutare le organizzazioni ad efficientare i processi interni ed esterni.
Un’organizzazione in grado di raccogliere i dati pertinenti alla propria azione rappresenta uno stakeholder interessante per la filantropia che vuole indirizzare le relazioni in ottica di co-progettazione e non di sostegno top-down.
Trasforma i tuoi dati in storie
Un dato, di per sé, non esercita un grande fascino sulle persone: compare come un numero, come qualcosa di asettico, molto spesso una percentuale che quasi respinge. Per attirare verso di sé le persone, il dato ha a disposizione la sua storia: le storie sono potenti e universali, facili da memorizzare e fanno leva sugli istinti più profondi dell’essere umano, creano quell’immedesimazione che aiuta chiunque ad empatizzare con qualcosa che può essere anche molto lontano da sè. Ma c’è un aspetto su cui è importante porre attenzione. Proprio perché i dati sono uno strumento potentissimo, non dovrebbero essere usati come “arma” contro i propri donatori, per muoverli all’azione. Devono servire ad ipotizzare e validare scenari futuri, con i quali realizzare azioni migliori. È il racconto di quelle azioni che vi farà trovare partner, donatori e beneficiari migliori.
Sapersi raccontare attraverso i dati e le loro storie è utile nel processo di ricerca partner ma non solo: le relazioni che durano nel tempo con aziende e fondazioni sono quelle che danno il giusto risalto alla storia dell’incontro, alla storia dei risultati prodotti e quindi alla storia delle risorse coinvolte.
Fallo ogni giorno!
E per finire, la raccolta e l’analisi dei dati, è un processo quotidiano, uno standard che se integrato negli obiettivi di sviluppo di una organizzazione non profit può davvero fare la differenza. Aiuta a rileggere il proprio operato, a guardare all’organizzazione con occhi diversi, a coinvolgere in un costante flusso di dialogo le risorse interne e a uniformare il racconto di quello che accade: crea dei costanti punti di riferimento che possono rappresentare dei modi per migliorarsi e anche per valorizzare quello che l’organizzazione tutta, insieme con il suo sistema di relazioni esterno – e quindi con i partner – ha realizzato.
È importante trovare il proprio modo di analizzare, raccogliere e riportare i dati: esistono molti strumenti, anche digitali, che possono supportare gli enti in questo e sono importantissimi; così come importantissimo è avere le persone giuste che guardano all’organizzazione, alle relazioni e ai risultati con l’occhio di chi sviluppa le azioni e non solo le riporta all’interno di report.