Papa Francesco si affaccia dal balconcino del decimo piano del Gemelli di Roma e secondo la sua indole non parla tanto di se stesso, di come si sente, ma dedica l’Angelus a coloro che lo hanno curato in questi giorni, dice:
“Non bisogna perdere questo bene prezioso, bisogna mantenerlo! E per questo occorre impegnarsi tutti, perché serve a tutti e chiede il contributo di tutti!”
Non poteva che iniziare così il primo appuntamento dedicato agli ospedali e al rapporto con il territorio.
Se il Covid-19 ci ha insegnato una lezione è proprio questa: gli ospedali sono un patrimonio per la comunità e della comunità, e come ogni cosa preziosa va preservata e fatta crescere. Quante volte nel corso degli ultimi dieci anni, passati a lavorare all’interno di ospedali pubblici come fundraiser, mi sono sentita ripetere questa frase: “La sanità la paghiamo già con le nostre tasse, perché dovrei fare una donazione all’ospedale della mia città?” Me lo hanno chiesto medici un po’ scettici, filantropi illuminati e dirigenti pubblici attempati, titubanti all’idea di cambiare. Eh si, perché far crescere una cultura filantropica verso il proprio ospedale, vuol dire prima di tutto essere disposti a cambiare.
Perché dovrei fare una donazione all’ospedale della mia città?
La risposta è una sola ed è anche molto semplice: perché le tasse coprono molto ma non tutto.
Sostenere il proprio ospedale vuol dire prendersi a cuore la salute di tutta la comunità, significa generare impatto sulla comunità. Per un’azienda attenta alla CSR significa prendersi a cuore la salute dei propri dipendenti;
per un ente filantropico vuol dire poter generare un impatto ampio, misurabile e facilmente verificabile;
per un piccolo donatore significa poter essere riconoscente per le cure che ha ricevuto.
In quest’ultimo anno gli italiani hanno riscoperto il grande valore della sanità pubblica. L’amore per gli ospedali periferici, quelli delle piccole città, quelli che all’interno non hanno luminari ma medici e professionisti impegnati ogni giorno a svolgere con passione il proprio mestiere. Tutti abbiamo compreso che gli ospedali meritano di essere sostenuti e che la loro è una buona causa. Peccato averlo compreso in un momento di così grande difficoltà e di emergenza.
Ispirare filantropia di comunità per far avanzare l’assistenza sanitaria dei pazienti
Gli ospedali si trovano oggi più che mai di fronte a donatori attenti, pronti a rispondere e a essere coinvolti. Compito dei fundraiser che lavorano all’interno degli ospedali, piccoli o grandi che siano, è di ispirare filantropia di comunità e costruire nuove forme di partecipazione.
Il primo consiglio è: per far crescere la cultura filantropica verso gli ospedali e ispirare filantropia, dobbiamo partire da dentro. Nella maggior parte dei casi tutto inizia quando un paziente si sente riconoscente per le cure che ha ricevuto e chiede a medici e infermieri che lo hanno curato, che cosa può fare.
Tutti all’interno dell’ospedale dovrebbero sapere come indirizzare adeguatamente quel donatore e saper raccontare l’impatto che le donazioni hanno sull’ospedale. Questo è solo uno dei modi in cui un ospedale può trasudare una forte cultura filantropica.
Questo è ovviamente lo scenario ideale. Ma in un ospedale in cui il personale lavora in un ambiente 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con numerose richieste, la filantropia e il ruolo che il personale e i medici svolgono in essa non è sempre al primo posto.
Da qui inizia il nostro appuntamento dedicato al tema degli ospedali e le relazioni con il territorio,in cui cercheremo di capire come costruire e far crescere questo legame, che in realtà c’è sempre stato ma che negli anni si è perso.
Elisabetta Gazzola
Consulente di Fundraising grandi donatori. Da più di vent’anni è consulente di fundraising specializzata nel fundraising per Ospedali. Lavora a fianco di Ospedali e ASL per costruire progetti di fundraising capaci di avvicinare e appassionare i donatori.